I ragazzi di oggi vengono, spesse volte, etichettati come: DIFFICILI!
Forse è per questo che nessuno vuol prendersene cura…
Dovremmo innanzitutto capire cosa vuol dire la parola “Difficile“.
Cercando su un normalissimo dizionario, il significato della parola “difficile” può essere riassunto in: “Che richiede notevole sforzo, abilità, attenzione, applicazione mentale“.
Se effettuiamo un’ulteriore ricerca tra i sinonimi del termine difficile, troviamo tantissime definizioni, tra cui: arduo e difficoltoso.
Fatta questa dovuta premessa, quello che salta agli occhi è che il mondo degli adulti di oggi non vuole più faticare, impegnarsi, dedicare del tempo per raggiungere una “compliance educativa” con le generazioni precedenti. Forse vorrebbero vivere come nel passato, quando i ragazzi dimostravano maggiore rispetto nei riguardi del mondo adulto (o forse era più timore), un periodo quello, in cui l’adulto otteneva subito l’attenzione ed il rispetto (vero o presunto) dei ragazzi senza guadagnarselo, credendo di essere, a volte, quasi delle divinità. I ragazzi di ieri, rispetto a quelli di oggi, erano privi (o forse la reprimevano) della voglia di autonomia, di riscatto e di autorealizzazione. Per raggiungere tutto questo, i ragazzi di oggi non esitano un momento, a mettere in discussione non solo il pensiero ma tutto il mondo adulto, concedendo pochissimo spazio al contraddittorio.
Continuando questo ragionamento, si può certamente affermare che, se l’adulto approccia al mondo giovanile come nel passato, la frittata è fatta!!!
Per comunicare con i giovani, tenendo conto che trattasi di un ARDUO e DIFFICOLTOSO compito, bisogna avere la consapevolezza che si va incontro ad uno sforzo notevole, che si deve mettere in campo tutta l’abilità, l’attenzione e l’applicazione mentale di cui si dispone, solo così si può sperare di ottenere qualche piccolo risultato.
Questo ragionamento è rivolto ai ragazzi “normali”; ma se i cosiddetti ragazzi “normali” (provenienti da buone famiglie), sono etichettati come “difficili”, figuriamoci quelli che delle difficoltà ne ha fatto una ragione di vita, come ad esempio i ragazzi che vivono nelle comunità educative o peggio ancora i minori stranieri non accompagnati.
L’ostico compito educativo nei confronti delle nuove generazioni è contaminato da mille retaggi mentali, a volte razzisti, che ci portiamo dietro sin da piccoli. Il rapporto educativo, sin dal suo nascere, deve essere liberato da (pre)giudizi, convinzioni ed etichette.
Ma tornando ai ragazzi “Difficili” che vivono in comunità…
Per loro, le difficoltà iniziano molto presto.
Sin da bambini, devono fare i conti con situazioni che distraggono il loro percorso di crescita verso una vita “normale”. Questi ragazzi “difficili” vivono due tipi di difficoltà: Dirette e Indirette.
DIRETTE:
Tra quelle dirette c’è sicuramente la più insidiosa che logora corpo e mente di chi ci si imbatte:
– Elemosinare l’affetto dei genitori:
La nostra personalità e il nostro carattere sono i riflessi della nostra infanzia, infatti, come dimostrano numerose ricerche, il comportamento adottato nell’età adulta sia, in gran parte, dovuto alle esperienze che viviamo durante l’infanzia. Le dimostrazioni d’affetto rappresentano l’alimento emotivo necessario per poter crescere, ma quando non si riceve uno degli alimenti necessari per la crescita, le conseguenze della mancanza di affetto sono innumerevoli e diverse da individuo a individuo. L’assenza di amore nelle sue diverse forme, lascia un segno e compromette l’immagine di sé, l’autostima e le relazioni nel corso della vita. Questa situazione, inimmaginabile per un ragazzo “normale”, è la condizione primaria che genera comportamenti anti sociali e devianti.
Altra difficoltà diretta è:
– Vivere in condizioni di povertà economica ed educativa:
Percepire che in famiglia non ci siano le condizioni economiche per acquistare da mangiare ed il minimo indispensabile, non sono le premesse migliori di una crescita serena. La mente dei ragazzi che vivono in questa situazione, è offuscata da mille pensieri che il più delle volte sfociano in azioni devianti. Se alla povertà economica si aggiunge quella educativa, generata da genitori sempre più amici e meno educatori dei loro figli, il dramma è davvero dietro l’angolo. La tragedia è compiuta quando i genitori sono presenti fisicamente ma assenti con gli atteggiamenti educativi, diventando così sempre più disfunzionali al loro percorso di crescita.
INDIRETTE:
Una delle difficoltà indirette vissuta da chi vive in comunità è quella di respirare l’aria di rifiuto da parte della società, ciò purtroppo è ben visibile soprattutto a scuola: molto spesso infatti la scuola, invece di essere inclusiva diventa “esclusiva”. È più facile porre l’attenzione su chi già fa bene il proprio percorso che allargare il proprio raggio d’azione su chi si trova in difficoltà. Altri esempi in cui risulta chiaro il rifiuto della società si hanno nel momento in cui si cercano nuove sedi: per trovare una giusta collocazione dei locali della comunità che li ospita, per via dei giudizi dei proprietari, si va incontro a frasi come: “Questi ragazzi creeranno solo problemi“, “Se affittiamo questo appartamento a loro, la nostra serenità è finita“. La cosa fa più male quando questi giudizi arrivano anche dal mondo ecclesiastico!
In conclusione, tenendo conto dei ragionamenti fin qui fatti, possiamo tranquillamente esaltare la frase più antica del mondo e cioè che “I ragazzi sono lo specchio dei genitori” e che la società gioca un ruolo molto importante nella formazione delle nuove generazioni.
Occorre fare un salto di qualità!
Quando si vedono ragazzi mettere in campo atteggiamenti devianti, occorre decisamente evitare frasi del tipo: “Questi giovani di oggi sono persi“, “Non ci sono più i giovani rispettosi di una volta”; chiediamoci piuttosto “Noi adulti, cosa abbiamo fatto per arrivare a questo punto”? o meglio “Cosa possiamo fare per evitare che i ragazzi di oggi mettano in campo questi atteggiamenti”?
Solo se riusciremo a giudicare meno, facendo percepire il nostro interesse e il nostro affetto nei loro confronti, riusciremo a trovare il modo per dare la giusta chiave di lettura ai loro comportamenti, solo diventando compagni di strada e non dei giudici, riusciremo a trovare nuove strade da percorrere e disegnare un nuovo futuro per i nostri ragazzi.
Affido la conclusione di questa riflessione al padre degli educatori “San Giovanni Bosco”:
“Amate ciò che amano i giovani, affinché essi amino ciò che amate voi”.
“I ragazzi, se non li occupiamo noi, si occuperanno da soli e certamente in idee e cose non buone”.
“Quando non si minaccia, ma si ragiona, quando non si ha paura ma ci si vuole bene, quando Dio è il padrone di casa, allora nasce la famiglia”.
“In ognuno di questi ragazzi, anche il più disgraziato, v’è un punto accessibile al bene. Compito di un educatore (genitore) è trovare quella corda sensibile e farla vibrare”.
Caltagirone 10/10/2023
Filippo Pizzo